Attività di ricerca dell'Accademia della Renna (AdR)
 

Senza mai fine
de Giacuminu Leopordo

Sempre cara me fu sta costarella,
e sta bella fratta,
che accappa lo vedè dagli’atru latu.
Ma assettatu remiro,
e arrete a essa,
vedo nu munnu senza mai fine.
Quantu munnu ‘ngi sta’ arrete alla fratta,
e quanta pace,
vedo nu paradisu tantu beglio,
e nu cielo de nu colore denso.
Sento ju vento che tira tra le piante,
e dapo’ ‘n’infinitu silenzio,
ccuscì’ me revè ‘n mente tuttu lo passatu,
e lo presente.
S’anneganu i pensieri ventro a sti spazzi
senza mai fine.
(… ...)
 


Critica esplicativa AdR
Quello del Leopordo è definito il poema senza mai fine (appunto!), come era nell’intenzione dello stesso.
Il componimento infatti consta di così tanti versi che risultano incalcolabili.
“Tengo scrie (...) caccosa de cusci’ infinitu che nisciuno mai tenerra’ reuscì a legge tutto”.
Lui ci è riuscito.
E a nessuno mai sarà dato di scoprire la fine, l’ultimo verso, l’ultima parola. Qui abbiamo riportato soltanto la prima strofa.
I computer sono riusciti a calcolare fino alla pagina 34547687980842316232839 e poi sono andati in tilt.
Ciononostante abbiamo ragione di credere che il poema infinito termini proprio con la parola fine come le prime 1502986475382934476586977543 strofe.
Seppur nella sua astrazione concettuale, nel suo procedere colto e raffinato, il poema ha origine quasi per caso, quando un giorno il Leopordo, zoppo e quindi impossibilitato a grandi spostamenti, ascolta l’esclamazione di una giovinetta che dal Colle di Lucoli aveva raggiunto la pineta tra il Colle e Roio e al ritorno aveva urlato entusiasta e interdetta alla madre “Mà!! Quantu munnu ‘ngi’ sta!!”.
Così il Leopordo, pensò: “Tengo scrie caccosa de ‘nfinitu quante ju munnu stesso, caccosa de cusci’ infinito che nisciuno mai tenerra’ riscì a legge tuttu”. E così cominciò a scrivere... senza sosta.
E ancora scrivere, scrivere, scrivere... senza mai fine.