Attività di ricerca dell'Accademia della Renna (AdR)
 

Ju sbirrò’ sojio sojio
de Giacuminu Leopordo

Sopre a ‘na cima de ‘na torre antica,
nu sbirrò’ sojio sojio, se nne va cantènno
pe’ gli prati, finchè no’ se fa notte
e se spanne l’armunìa pe’ questa valle.

E’ primavera ‘ntorno ‘ntorno
brilla pe’ l’aria, e pe’ gli campi se spanne,
ccuscì’ che a remiràlla se ‘ntinirisce ju côre.
Sinti pecore de belàne, muggìr de vacchi,
gli aôcègli contènti, faû a gara ‘nzième
e pe’ ju liberu cielo faû giri a mille a mille,
festeggiènno la meglio gioventùne sene.

Tu, pinzùsu, a ‘n’angulittu, tuttu remìri;
non te compagni, non ‘uli,
non te rallìgri, scanzi ji spassi;
peròne canti, e ccuscìnda,
sballi j’anno, e pure la meglio gioventù’
che te retòcca.

Porègliu’ammì’ quantu me tte rassumìgli!
Me sembra d’essete fratèglio,
pure jì non me remèschio,
da tutti me scanzo,
e faccio ju rumìtu addò’ so’ natu!….

Critica esplicativa AdR
"Gliu sbirro’ sojio sojio" può essere definito il canto d’esordio non soltanto per il poeta ma anche per la nostra attività di ricerca.
Per quanto riguarda la datazione risulta essere incerta comunque il componimento può essere inserito all’interno dell’ottocentesca corrente romantica.
In precedenza già un critico argentino, Aspu Surdu si era occupato di questo scritto, ma tutte le sue ricerche sono andate perdute nell’incendio del N.C.L.G.L. (Notturno Club Giovanile Letterario Lucolano - l’odierno Centro Diurno per Anziani, restaurato non molti anni fa -).
La spiegazione più attendibile circa "gliu sbirrò" del componimento non è data dalle presunte frustrazioni sessuali delle quali si pensa che il poeta soffrisse, ma da ben altro.
Infatti, grazie alla consultazione delle vecchie, pluricentenarie cartelle cliniche scritte su cartapecora del bravissimo dottore Gian Maria (niente a che vedere con l’attuale, né per parentela, né per altro) è stato scoperto che il poeta soffriva di un fenomeno che solo molto più tardi verrà definito autoscopia.
L’autoscopia non ha nulla a che vedere con la sessualità individuale, né tantomeno con l’autoerotismo, ma è un fenomeno psicologico che al soggetto permette di vedere un prolungamento della propria singolarità all’esterno (l’io percepisce se stesso come un qualcosa di esterno, ma non estraneo, almeno non in questo caso).
E il poeta, come proprio prolungamento all’esterno, percepiva infatti quell’uccello che era convinto di avere sulla spalla, sempre.
"Porègliu’ammì’ quantu me tte rassumìgli! / Me sembra d’ essete fratèglio".
In questi due versi è presente, con tutta la forza e la prorompenza dello squilibrio, la sua cieca convinzione.
Il poeta venne in seguito internato. Ignoriamo dove.