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Commemorazione di Padre Gabriele Giamberardini

     

 


La mia testimonianza
di Generoso Mazza


Vorrei provare a ricomporre, con l’immaginazione, gli anni della fanciullezza di Padre Gabriele, trascorsa prevalentemente qui a S. Croce, ma con la fantasia si può lavorare soltanto entro certi limiti sui fatti storici. Possiamo, però, essere certi, anzi direi che sia scontato, che la fanciullezza la trascorse in un ambiente agricolo e pastorale. Gli furono sicuramente familiari – e consentitemi di dirlo nel nostro inconfondibile dialetto - lo varà, lo somentà, lo mète, lo raunà, la trita, lo sciarroccà, lo carosà, ju stazzu, ji tratturi delle pecore, le carbunere, lo tesse co ju telaru e altre simili scene campestri, pastorali o domestiche.
Emilio – questo il suo nome di battesimo - partì con i sogni e l’entusiasmo dei dodici anni, alla volta del collegio dei francescani, conservando nel suo giovane cuore le carezze e le raccomandazioni della mamma, i saluti e le richieste di preghiere dei parenti e degli amici.
Le voci, i sapori, i colori delle nostre contrade non li dimenticherà, come non dimenticherà le tradizioni della nostra gente e saranno un legame fortissimo per Padre Gabriele con la sua terra lucolana, tanto è vero che in età matura, pur dovendosi spostare da una località all’altra, per ragioni di studio e di lavoro, non trasferì mai la sua residenza da Lucoli e ad ogni scadenza elettorale, avendone la possibilità, tornava con piacere a votare qui nel nostro Comune.
Adempiva il suo dovere di cittadino, salutava parenti e conoscenti e si ripresentava dove i suoi impegni l’attendevano.
Quest’ultima è un’informazione ricevuta da qualcuno di voi che mi ascoltate e confermata dal nostro Municipio.
Il suo attaccamento alla nostra terra lo dimostrò anche tenendosi in contatto col parroco Don Ascenzo Francavilla, inviandogli qualche sua opera, regalando alla nostra Chiesa quel leggio che vedete sullo schermo e che merita qualche parola di presentazione. Quel leggio proviene dalla terra delle Piramidi, dall’Egitto. Come ho appena detto, Padre Gabriele lo donò alla chiesa di S. Croce nel 1963, quando era missionario in quella nazione. Il leggio è frutto di paziente e amorevole lavoro artigianale. E’ artisticamente decorato: oltre ai fregi laterali, vediamo raffigurati i simboli dei quattro evangelisti. La figura umana rappresenta S. Matteo, il leone S. Marco, il bue S. Luca, l’aquila S. Giovanni. Presumo che sia stato realizzato dal diacono Mitri di Harah Zuela, collaboratore di Padre Gabriele, artigiano esperto che gli fabbricava belle croci copte e altri oggetti sacri, come è scritto in una testimonianza inserita nella raccolta “In memoriam”.
Quanto esposto fin qui, cari compaesani, è stata una necessaria premessa alla testimonianza personale che sto per rendere su Padre Gabriele. Vi devo confidare che provo rammarico per non aver avuto maggiori occasioni di incontrare e frequentare il caro Padre francescano che festeggiamo e per non aver intrattenuto una corrispondenza epistolare con lui.
Vi riferirò, tuttavia, di quei pochi momenti che sono all’origine della mia stima e dell’affettuosa ammirazione nei confronti del nostro illustre compaesano.
Chi mi ha fatto conoscere e mi ha fatto apprezzare Padre Gabriele è stato Don Ascenzo Francavilla, di felice memoria anche lui, il parroco che per circa trent’anni ha diretto la comunità parrocchiale di S. Croce. Un autentico parroco di campagna.
Era l’estate del 1959. Il nostro parroco, un giorno, assieme all’Osservatore Romano, mi diede da leggere anche un libro di Padre Gabriele, il cui titolo, per la verità, non ricordo con esattezza: trattava – e questo l’ho bene a mente – delle tradizioni religiose della Chiesa copta-ortodossa.
Sinceramente, a me, quell’opera non riuscì di facile lettura e comprensione, anche perché ero digiuno di filosofia e ancor più di teologia, ma riguardavo il bel volume con grande curiosità e pieno di meraviglia, perché notavo che gli argomenti erano svolti con sapienza e rigore scientifico. Quel libro ebbe il potere di imprimere nella mia mente il nome di Padre Gabriele che non si sarebbe cancellato mai più.
Non posso tralasciare, inoltre, di descrivervi l’atteggiamento di Don Ascenzo nel consegnarmi quel libro. Mi pare ancora di rivederlo. Traspariva dal suo volto benevolo e mite un’intima soddisfazione, una gioia intensa, perché per lui Padre Gabriele, anche se della generazione successiva alla sua e quindi molto più giovane, era l’amico, il fratello in Cristo, che andava operando bene, che si andava distinguendo per zelo e dottrina nell’Ordine religioso prescelto.
Non sapevo che Padre Gabriele avesse scritto altre opere. Se non che alcuni anni più tardi, consultando un’enciclopedia tedesca, senza aspettarmelo minimamente, vidi citata un’altra opera del Padre: fu per me una gradevolissima sorpresa, un’emozione il cui ricordo mi fa piacere ancora adesso. Non era semplicemente un autore italiano che veniva nominato – e sarei stato contento lo stesso perché all’estero tutto quello che allude, che si rifa’, che accenna alla madre-patria desta attenzione e fa rallegrare o rattristare, - ma pensare che veniva citato un lucolano, come me, che veniva citato il francescano, lo studioso che mi era stato lodato, a suo tempo, dal mio anziano parroco, ebbene, questo fatto mi riempiva di entusiasmo e mi dava la certezza che la fama di Padre Gabriele aveva valicato i confini nazionali e, sempre nell’ambito degli studi teologici, era diventata internazionale. Chiudendo la parentesi su questi particolari che vi ho voluto riferire per dimostrarvi come sia venuta crescendo la mia stima verso Padre Gabriele, ora vi racconterò come e quando l’ho conosciuto personalmente.
Avvenne in una giornata di luglio del 1973, giusto trent’anni fa, a Castelfusano. Precisamente in occasione di un matrimonio. Padre Gabriele era stato chiamato come celebrante ed io ero uno degli invitati della sposa. Durante la celebrazione della messa, tenne una commovente omelia. Si vissero momenti toccanti.
Dopo pranzo ci riaccompagnò a Roma Luigi Cirella: credo che ricordi bene anche Luigi questo viaggio. Strada facendo, Padre Gabriele ci raccontava spassosi aneddoti che lui stesso aveva sentito da Padre Aniceto Chiappini. (Altra gloria lucolana da non dimenticare e di cui possiamo andare fieri!). Quegli aneddoti vorrei farli gustare anche a voi se mi riesce. Riguardano l’anno santo. Ci diceva, dunque, Padre Gabriele che le nostre nonne e bisnonne, recandosi a Roma in pellegrinaggio, in occasione dell’anno santo, trasportate dal fervore religioso, si andavano inginocchiando ora davanti a una statua, ora davanti a un’altra, scambiandole per statue di santi non risparmiando neppure la statua di Garibaldi. Oppure si avvicinavano a un sacerdote e gli domandavano: “Padre, ma j’anno santu do’ sta?” O tornando al paese e raccontando alle amiche, alle comari che loro erano passate attraverso la porta santa, commentavano: “Commà, fusci vistu che catenacciu a quela porta!“
Il percorso da Castelfusano a Roma mi parve dimezzato. Non ci raccontò, però, solo aneddoti. Il pensiero gli corse, tra l’altro, alle montagne lucolane. Nominò Sant’Eremo, il Vallone di Sant’Onofrio, Monito. Padre Gabriele vedeva in questi nomi la possibile realizzazione di una ricerca.
Ricerca sulla loro etimologia, sul periodo di civiltà che poteva averne influenzato l’attribuzione alle nostre montagne. Stando alla derivazione greca di quei nomi, per lui l’attribuzione era dovuta, probabilmente, alla dominazione bizantina in Italia.
Siamo stati insieme una giornata con Padre Gabriele. L’impressione che ne riportai fu quella di aver incontrato una persona affabile, colta, dai molteplici interessi, quella che comunemente si dice una persona straordinaria.
Qualche mese dopo la sua morte mi venne consegnata dalla famiglia di suo fratello Alberto una sintetica nota biografica scritta in latino. Sono venticinque anni che la conservo e continuerò a conservarla. La lessi e la rileggo con vera commozione. Per me, fino a qualche mese fa, è stata l’unica biografia di Padre Gabriele fino a quando, cioè, non ho conosciuto la raccolta di testimonianze “In memoriam” pubblicata dai Frati Minori della Provincia religiosa “S. Bernardino da Siena” e la sintesi della tesi di laurea della Prof.ssa Di Giampietro. Voglio dirvi che cosa ha rappresentato per me quella nota biografica scritta da Padre Marinangeli, perché l’ho tenuta tra i miei documenti da conservare. Per il fatto che c’è in quel sintetico scritto tutto quello che Padre Gabriele è stato: il conferenziere, l’operatore culturale, il ricercatore instancabile, il direttore degli alunni, lo scrittore e il pubblicista, il religioso irreprensibile che cercò di ricalcare fedelmente le orme di S. Francesco.
Inizia così questa concisa biografia, datata 3 aprile 1978: - un paio di settimane dopo il suo decesso - ”La provincia (religiosa) abruzzese di S. Bernardino da Siena è stata colpita da grandissimo lutto e grandissima afflizione per l’inaspettata e improvvisa morte di Padre Gabriele Giamberardini.” Avvertiamo in queste parole e in altre espressioni della stessa nota, l’affetto verso Padre Gabriele dei suoi confratelli, la grande considerazione in cui era tenuto.
Qualche riflessione e chiudo, cari compaesani. Se è vero, come è stato scritto, che la memoria è necessaria alla costruzione del futuro, anche la notevole figura di Padre Gabriele può additarci il cammino da percorrere verso il tempo a venire. Dal suo insegnamento tutti possiamo imparare qualcosa. Costante la sua fede nel Vangelo, esemplare la sua vita come uomo e come religioso e quella sua tensione intellettuale, quel suo operare instancabile, quel suo scrivere appassionato non provenivano, a mio parere, da altra fonte se non quella del suo amore per la verità. Auguriamoci, anzi lo crediamo fermamente, che gli sia stato concesso, come premio, il godimento di quella Verità infinita, assoluta che solo “Amore e luce ha per confine”. Avergli dedicato una giornata per commemorarlo, affiggere una targa per intitolargli un angolo del paesello nativo, credo sia davvero un riconoscimento meritato e dovuto. Viva Padre Gabriele!


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